Prefazione al libro di Stefano Lanzardo "Impronta di un'emozione"

Guardare davvero (per salvarle nella nostra memoria visiva) le modulazioni innumeri della scultura di Roberto Tagliazucchi significa comprendere anzitutto l'ansia intellettiva che ad esse presiede, la cultura dell'umano, le determinazioni costruttive più ardue e nel frattempo calibrate che governano la sua forte e significativa arditezza plastica. Ha ragione Stefano Lanzardo quando definisce, nel titolo della sua indagine fotografica, il viaggio all'interno dell'opera di Tagliazucchi una sorta di ricerca delle impronte di un'emozione. Certo, si tratta d'emozioni connaturate alla sua indubbia manualità plastica, in grado di renderci partecipi sempre, in modo diretto e tangibile, di valori da lui individuati nelle forme, scelte con pazienza e passione. Possiamo anche parlare di un'emozione dinamica, nel senso che il nostro artista non si arresta dinanzi ad alcuna difficoltà che può presentare la materia quando diventa oggetto di un'ideazione e poi inquilina pregiata dello spazio. Nel momento in cui ha sentito la necessità di riconciliarsi "con il mondo esteriore", Tagliazucchi ha messo sul trono del suo estro creativo il concetto di "Armonia", come la concepiva Dionigi d'Alicarnasso, cioè sintesi mentale, e aggiungerei, coordinata in ogni istante con un sofferto quanto consapevole criterio tecnico. Cercare armonia per Tagliazucchi è recuperare una poetica delle proporzioni a "sua" misura, a misura cioè della sua sensibilità e del suo percepire individuale della "bellezza", di quella più vicina e ovviamente più difficile da eternare. La ragione prima dell'armonia per Tagliazucchi è ben leggibile nel disegno rapido (preparatorio ma subito autonomo dal possibile successivo esito plastico) quando presuppone una forte fedeltà all'intuizione; è ancor più leggibile nel percorso del suo scolpire quando entra nella sfera dominante della concertazione fra morbidezze e ricercate angolazioni. E' una "fatica" la sua - così non può non essere - accanitamente voluta e praticata, direi inevitabile in lui ed entusiasmante e quindi prefazione al progetto realizzativo. E poi Tagliazucchi mai intende aggredire o ferire la materia scelta per i suoi messaggi: è facile, infatti, secondo me, percepire l'amore con cui scolpisce proprio perché rende evidente, comprensibile, il suo programma di conquiste formali nobilmente e robustamente liriche. E qui dobbiamo intenderci, anche con il suo "aiuto estetico" ove parla di "noveau romantisme", sulla sua volontà nuova, accanita e permanente, di fermare ed esaltare le ritmiche forme tramite un radicato, ineludibile, "sentimento dello spazio". Quando decide di calarsi nella stanza segreta, nella privacy, del mezzo plastico, Tagliazucchi sa a priori che ne ricaverà - e ce li proporrà con legittimo e del tutto approvabile orgoglio d'artista - momenti inediti, storici, umani, estranei - proprio perché figli del sentimento dello spazio - a codici, ad abitudini dogmatiche, a normative bloccanti. Facciamo un esempio: quando ci si trova dinanzi al suo "Christ de Alleray" (1987) è inevitabile una suggestione nuova, proprio perché quell'immagine - così intensamente e variamente glorificata da migliaia di scultori e pittori di tutti i tempi - nasce da un umanesimo soggettivo, intenso davvero, direi anche da una religiosità laica ricca e coraggiosa. Non occorre, per Tagliazucchi, perdersi in descrizioni: meglio scegliere la strettoia (che in lui diventerà prateria) dell'essenzialità, attraverso cui si evitano le "circostanze" dettagliate e si colgono invece, di un evento poi così eccezionale come la Crocifissione, le drammaticità più profonde, fra grida soffocate ed esaltazioni imperscrutabili. Se poi guardiamo attentamente altre opere ("Dance", per esempio) ci possiamo rendere conto della capacità di Tagliazucchi di innovare nel campo infinito, minato, degli equilibri plastici: non più soltanto l'orizzontalità piatta o le verticalità assolute, ma anche la "lateralità", che è poesia dello slancio, cioè di uno slancio veemente ed elegante, figlio d'impulsi vigorosi e responsabili. Uno scultore vero, Tagliazucchi, che ha raggiunto, con la rara ma sempre più esigibile etica della responsabilità, la capacità di esplorare nella materia, nel mezzo plastico, là ove si annidano imprevedibili ma sostanziali momenti d'armonizzazione, ad esempio tra incavi e luminosità, tra piani e ritmi, tra misura e spontaneità (si vedano opere come "Sognando", "Nathalie". "Canapé", "David"), con il beneplacito sacrosanto di "Madame Poésie" e di "Mademoiselle Imagination". Au revoir, et merci beaucoup, maître Tagliazucchi, scultore di razza, governatore di nuove figurazioni plastiche.

Ferruccio Battolini Febbraio 2001 

Questo cognome - che fu già noto anche in lontane contrade portatovi dalla stupefacente maestria del padre - ci ritorna oggi, quasi l’eco di un'affermazione ottenuta a pieni voti dal figlio a Parigi. Quelle che seguono sono viva testimonianza di autorevoli ammiratori, di critici conquistati dalla valenzia del Tagliazucchi odierno al suo apparire.Qui noi avremo soltanto un limitato saggio; ma quadri e sculture esposti al Museo Villa Medicis, non lungi dalle rive della Senna dove iniziò a brillare la luce di tanti artisti insigni, già ci lasciano intravedere il futuro del nostro concittadino.Accogliamolo come un figliol prodigo che allora ci farà vedere quanto più presto possibile, non solo gli acrilici che ci propone oggi, ma anche quel nostro marmo che egli - come scrive il Chabanne -" accarezzava " nel corso della creazione. Per noi, quella carezza, avrà anche il languore della nostalgia.

Prefazione di Aldo Fetonte direttore della rivista " Mondo Mediterraneo per l' esposizione " frammenti di viaggio" Hotel Michelangelo, 1986

PREFAZIONE AL CATALOGO DELL'ESPOSIZONE AL MUSEO - VILLA MÉDICIS - 1984 

.... L'opera di Tagliazucchi non si può circoscrivere. Non si può definire. Al più è per merito di un insieme di contrasti e del ricorrere di forze che quasi si oppongono, che si può tentare di avvicinarla... Rifiutando un'arte dell'assurdo e del non senso, si può anche affermare che Tagliazucchi si avvicina ad un certo classicismo. Sfugge però alla volontà dì diffondere un concetto semplicemente " estetico " dell'arte e cerca di raggiungere un livello espressivo meno immediato. In ogni modo l'arte di Tagliazucchi non si può definire dal semplice punto di vista intellettuale ma richiede, per essere scoperta in tutta la sua ricchezza, un totale investimento cerebrale e sensibile.

B. Boustany direttrice del Museo di St.Maur Traduzione di Aldo Fetonte direttore della rivista " Mondo Mediterraneo "

.............................................Tre artisti dunque,differenti l'uno da l'altro, in uno solo, tre bravi e buoni artisti dei quali non si sa troppo quale preferire. La scultura di Tagliazucchi, con qualche rara eccezione,è tagliata nella massa del marmo di Carrara, vergine di tutte impurità, liscia, translucida, luminosa, dagli angoli arrotondati, tenere e dolce, sensuale dopo una lunga, paziente e fine levigatura, suggerisce nella sua estrema semplicità ben più di quanto impone e, se non avesse dato per titolo a due delle sue opere Jeu d'enfants et Danseuse, noi non ci avremo visto altro che, nella prima un alto portico aperto sull'infinito e nella seconda un totem ieratico... Una eccezione,il suo Cristo in croce, un bozzetto in bronzo del 1986 per una nuova chiesa di Parigi; emozionante, sublime, ammirabile nella semplicità,nella nudità delle lignee. Finalmente della grande arte sacra moderna che, auguriamocelo, troverà la sua giusta collocazione in "Notre-Dame de l'Arche d'Alliance" nel nuovo quartiere Aleray! Lo spazio manca, purtroppo, per parlare come lo meriterebbe della sua pitture dai colori degli affreschi; dai colori dei "vitrail" à l'ora in cui declina il giorno , dai verdi acidi della campagna , dai gialli bruciati dal sole, dai rossi trionfanti ; pittura del gesto, pittura mistica vicina al suo "Christ d'Aleray".... "Voi siete credente ?" "Oui, je crois profondément ". "differenti l'uno da l'altro", la scultura e la pittura di Tagliazucchi ? Al di là della costruzione, la forma e la forza d'espressione,c'è in questo cattolico fervente una presenza spirituale che conferisce a l'insieme della sua opera una unità che, di primo impatto, non avremo mai sospettato.

Pierre BRISSET - Critico della rivista d'arte "L'Oiel"

ESPOSIZIONE MUSEO DI ST-MAUR - 1984

.............. Nelle sue pitture, così come nelle sue sculture non è raro che un elemento perturbatore spezzi la naturale eleganza che questo " signore " sa trascrivere con la linea ed il volume. Non stupitevi dunque di questi " colpi " di scalpello che potrebbero irritare la voluttuosa linea del marmo bianco accarezzato dalla luce; Roberto non intende " sollecitare " i sensi, né lasciare troppo spazio " all'estetica ". ... Bisogna dunque sapere che Roberto non lavora una gamma cromatica sulle ginocchia, tenendo in mano un manuale della storia dell'arte. No, le sue decisioni - se certamente non sono irrazionali aumentano continuamente il confronto con la superficie bianca senza fornirle a priori delle certezze. ... Il pittore traccia una linea, poi comincia a riempire uno spazio. Il resto della tela reclama a sua volta il colore. Quale scegliere? Roberto " chiede " al pittore che tuttavia non risponde e lo mette in imbarazzo. Allora lui spalma del verde, rinforza la linea arancione con una colata di azzurro ed è il contrasto fra gli elementi dell'universo già dipinto che lo obbliga a riprendere l'opera e magari snerva il pittore fino alla prossima calma. Ecco, ci siamo: lo spazio è aperto, verso l'alto, sempre. Se le linee partono da qualche parte, non hanno suolo, non sono né alberi né rami. E' forse questo spazio aperto ma ancorato, questi effetti di profondità sempre ricondotti alla superficie da qualche deposito di materia che il pittore ricerca. ... Per lui, dipingere non significa mettere in pittura e nemmeno disegnare col colore. Conosciamo la sua destrezza e la sua capacità nell' impossessarsi di una linea, la bellezza di un corpo o il ritmo di un oggetto. No, dipingere e gioire del colore all'istante perché ogni colpo di pennello provoca nuovi rapporti fra un colore ed un altro, e da questo insieme con colui che l'organizza. Più che mai, per quest’uomo che non vuol perdere nulla, fare una tela significa anche migliorare la prossima. Roberto è un pittore giovane che sa già molto. Tale è la difficoltà da sormontare quando non si è usi a fare delle concessioni al già visto, al di già saputo.

Thierry Chabanne critico, prof. d’ estetica a l’ Ecole National Supérieur des Art Graphique di Parigi. Traduzione di Aldo Fetonte direttore della rivista " Mondo Mediterraneo " 

ESPOSIZIONE MUSEO DI ST-MAUR - 1984

...............................................................L'opera di Tagliazucchi attira, risveglia, urta, rinnova. Umile e sobria, la sua arte (pittura o scultura) non è né monotona né impersonale. La semplicità dei concetti, un certo classicismo delle linee e la purezza dell'esecuzione, sono le più sicure garanzie per stabilire una reale comunicazione profonda fra l'artista ed il suo pubblico... Ciò che i visitatori hanno visto al Museo d'Arte Moderna di St.-Maur nel corso dell'esposizione a lui consacrata, illustra la volontà di creare un'arte personale ed attuale, ricca tanto di rigore che d'indipendenza. ... E' arte per tutti? Certamente. Ma non è dell'arte qualunque. La qualità tecnica del suo lavoro, così come la sua ricchezza d'ispirazione e la sua profonda umanità, fanno sì che Tagliazucchi meriti un posto di primo piano fra gli artisti contemporanei.

Laurent Chemtob critico d'arte del giornale d'Ile de France "Villages"  Traduzione di Aldo Fetonte direttore della rivista " Mondo Mediterraneo " 

EXPO ORANGERIE DU CHATEAUX DE SUCY EN BRIE - 1998

Vi sono due modi diversi, ma ugualmente importanti, per accostarsi alle opere di un artista. Quello storico-biografico, lo delinea nel percorso culturale, sociale, ambientale ed, in senso più ampio indaga sulle sue relazioni con le correnti artistiche del suo tempo. L’altro concentra la propria riflessione, su l'oggetto d'arte, su quell’arte, la sua, che attraverso una serie d’invenzioni formali, porta a discutere sul significato universale d’arte. La contaminazione tra l'una e l’altra è difficilmente evitabile, cosi che, spesso, diventa abitudine ridurre l'opera agli elementi psicologici dell'artista. Si distoglie l'attenzione dall'opera che, invece, esiste per se stessa, travalica la storia e la vita dell'autore, il quale, dando forma ad un nucleo misterioso - sogno, archetipo illusione di potenza - ha fatto il massimo in suo potere e, come strumento della sua opera, ha esaurito il suo estremo narcisismo. Se un punto di contatto esiste tra i due modi è da ricercarsi nel significato universale che l’oggetto, quando è arte, possiede; stabilisce quella rara "necessità" comunicativa, quel passaggio di senso che la rende riconoscibile, lo rende godibile agli altri, ai modelli culturali del momento storico in cui l’artista vive. Senso e significato, in ogni modo non cristallizzato, mai definito. Lo scultore Roberto Tagliazucchi nelle sue rare dichiarazioni d’estetica può citare Cubismo e Futurismo, scomposizione e simultaneità, può eleggere Brancusi totem della scultura contemporanea, può, ancora, ammirare l’essenzialità tematica di Moore, ma non riuscirà, compiutamente, per fortuna, a giustificare la sua totale mancanza d’omologazione con tendenze, modelli, autori, regole accademiche. La sua "scienza" speciale gli permette di dinamizzare spazi, assorbire e rimandare luce, uscire ed entrare liberamente dall’oggetto. L’opera non ha, così, una veduta preminente, ne ha tante e ciascuna è quella "giusta" nel momento in cui la si osserva. L’artista può ancora raccontare la sua poesia attraverso le metafore, i miti e le passioni che lo agitano: è un uomo di un tempo fragile, in lotta con la materia, in un tempo di fine secolo, non placato, dove, tra macerie reali, tenta di rendere visibile a se stesso ciò che fugge, tenta l’impresa visionaria del viaggio dal reale al possibile. Il suo "umanesimo" diventa figura la cui forma trattiene qualcosa della molteplicità di ciò che per convenzione si chiama storia, realtà, ambiente. Difficile per chi è già metamorfosi. Il bisogno di narrazione e di "letteratura" che chiediamo all’arte non riusciranno mai a farci possedere per intero il paradiso perduto o ritrovato di SOGNANDO, il vitalismo di NATHALIE la rispondenza ancestrale del JOUEUR DE FLUTE l’ostinata determinatezza di DAVID Però, forma e idea, le due anime indissolubili dell’arte hanno trovato la loro empatia. In questa mostra il cui "attraversamento" porta ad un’anima prevalentemente mediterranea, "l’archetipo della terra" e "l’archetipo del cielo" sono gli interpreti obbligati, l’uno con la sensualità, la fisicità, lo smembramento, la frantumazione, l’altro con il siderale, l’assoluto, il bisogno d’infinito. Tra di loro ci sta Eros, ci sta l’arte e la sapienza di Roberto Tagliazucchi che ha reso possibile la "bellezza" della contraddizione:

Gennaio’98 Giovanna Riu, critico d'arte

ESPOSIZIONE MUSEO DI ST-MAUR - 1984

L'œuvre de Tagliazucchi ne se cerne pas. Elle ne se définit pas. Au mieux, est-ce par un ensemble de contrastes et le recours à des forces et techniques qui s'opposent que l'on peut tenter d'approcher sa sculpture. C'est d'abord le jeu subtil qui s'élabore entre un parti pris de pureté, de simplicité, et une volonté ferme de rompre avec un traitement trop académique et "harmonieux" de la matière qui frappe l'œil et éveille l'intérêt. La pureté essentielle du style de Tagliazucchi tient aux formes dépouillées qu'il emploie autant qu'à l'extrême soin qu'il apporte au traitement du marbre, son matériau de prédilection, souvent choisi blanc et faisant l'objet d'un grand travail de ponçage qui le rend parfaitement lisse et translucide sous l'effet de la lumière. Lisse au toucher, neutre dans ses couleurs et ramassée de forme, cette sculpture ne reste pas pour autant muette et insignifiante. Pas de monotonie, pas de silence de la matière. Tagliazucchi, en restant discret et sobre, sait faire parler la pierre et la mettre en mouvement, ne limitant pas l'œuvre à elle-même mais en l'intégrant toujours dans son environnement. "Le jeu d'enfant" et "La Ménestrel" ne prennent-ils pas tout leur sens dans l'espace dans lequel ils s'épanouissent ? L'harmonie linéaire de ses œuvres est toujours vivifiée, animée, dynamisée par une cassure formant un angle - "La maternité" - une échancrure ou un coup de burin - "Le signe grec", "Le joueur de rugby" -qui rompent le silence de conceptions très uniformes. Chez Tagliazucchi, la souplesse n'aboutit pas à l'informe et la sérénité de sa sculpture n'est jamais signe de fade béatitude. Au contraire, en dépit de son rapport tout en finesse avec la matière, il sait lui donner vie et mouvement intenses. Il connaît aussi les secrets pour réaliser une sculpture puissamment sexuelle qui, pour être douce et tranquille, n'en est pas moins animée d'un rythme profond et marqué - "La danseuse". Les contrastes dans l'ensemble de cette oeuvre reflètent un univers intérieur en pleine effervescence et un désir farouche de communication. Sans être vraiment figurative, sa sculpture n'est pas non plus purement abstraite. En refusant un art de l'absurde et du non-sens, il est même impossible de dire que Tagliazucchi est dans la lignée d'un certain classicisme. Il échappe pourtant à la volonté de diffuser une conception simplement "esthétique" de l'art et essaye d'atteindre un niveau de signification moins immédiat. Il dit lui-même qu'il lui importe peu d'imposer un message précis ou de démontrer ses propres vérités, dans la mesure où il provoque son public en suscitant une mise en question des valeurs établies. En somme, l'art de Tagliazucchi ne peut se définir d'un simple point de vue intellectuel mais requiert, pour être perçu dans toute sa richesse, un investissement total, tant cérébral que sensible.

Bernadette BOUSTANY, Conservateur du Musée de Saint-Maur

A l'écart des modes mais toujours curieux des acquis de notre époque, Roberto Tagliazucchi revendique pour l'art de grands desseins conjuguant expression et communication. " J'essaie d'éviter le joli " Roberto emploie souvent ce terme pour en relever le côté péjoratif lié à l'inessentiel, au superficiel. Dans ses peintures comme dans ses sculptures, il n'est pas rare qu'un élément perturbateur vienne disloquer l'élégance naturelle que ce "-signore-" sait transcrire par la ligne ou le volume.Ne soyez pas étonné par ces coups de burin venant irriter la chute voluptueuse du marbre blanccaressé par la lumière ; Roberto ne veut pas "chatouiller les sens" ni donner une trop large part à "l'esthétique". La taille directe, activité consistant à ôter pour mettre à jour, donne au sculpteur la possibilité de découvrir par les mains ce que son regard lui avait déjà fait rencontrer, "comme si je trouvais, dans tel ou tel bloc, une sculpture à moi avant que je l'ai travaillée". L'oeil est l'instrument privilégié de cette rencontre qui fait que "des blocs ne me disent rien et que d'autres m'attirent irrésistiblement". Roberto parle alors de communion avec un matériau qui l'avait séduit dès son enfance à Carrare. ".. Ce que je sais, c'est qu'il faut aimer la matière sinon elle te trahit". L'art consistera à amadouer la masse brute jusqu'au ponçage final sans lui retirer la présence du matériau vivant. Parodiant un peintre célèbre, Roberto s'exclama un jour "Dans la peinture je cherche, dans la sculpture je trouve", phrase curieuse et paradoxale car on affirme souvent qu'il est plus difficile d'obtenir un bel et bon effet avec la sculpture qu'avec la peinture. Cette dernière demande, il est vrai, un effort incessant, surtout si l'on écarte de son chemin les séductions du joli et que l'on ne se fixe pas comme but obligé de flatter l' oeil de celui qui regarde. Il faut savoir en effet que Roberto ne travaille pas une gamme chromatique sur les genoux et un manuel d'histoire de l'art dans la main. Non, ses décisions, si elles ne sont évidemment pas irrationnelles, ne font qu'argumenter sans cesse la confrontation avec la surface blanche sans lui fournir de certitudes à priori. Entrons discrètement dans l'atelier où se déroulent de bien curieuses histoires. Le peintre trace une ligne puis commence à remplir une surface. Le reste de toile vierge appelle à son tour la couleur. Laquelle choisir ? Roberto demande au peintre qui ne lui répond pas et l'embarrasse bien. Alors, il étale du vert épaissit la ligne orange d'une coulée de bleu et c'est le choc entre les éléments de l'univers peint qui fait tout reprendre, énerve le peintre jusqu'à la prochaine accalmie. Ç'a y est, l'espace est ouvert, vers le haut, toujours. Si les lignes partent de quelque part elles n'ont pas de sol, ce ne sont ni des arbres ni des branches. C'est peut-être cet espace ouvert mais ancré, ces effets de profondeur toujours ramenés à la Surface par quelque dépôt de matière que le peintre recherche. Il n'est pas facile, face à une toile posée verticalement, d'éviter les envolées tout en cherchant à suggérer une sorte d'ouverture de l'espace, un champ aux limites présentes mais aux effets aléatoires, toujours fuyants. " Je ne recherche ni l'anecdote ni la forme directement suggestive " dit le peintre. En effet, ne cherchez pas à reconnaître du déjà vu et si vous voyez du ciel dans ce bleu ou du feu dans cet orangé, libre a vous Il se pourrait bien cependant que ce ne soient là que des rapprochements fortuits. Pour lui, peindre. ce n'est pas mettre en peinture, ce n'est pas non plus dessiner avec de la couleur. Nous savons pourtant sa dextérité et son acuité à saisir le vif d'une ligne, la beauté d'un corps ou le rythme d'un objet. Non, peindre c'est jouir de la couleur dans l'instant parce que chaque nouveau coup de pinceau instaure aussitôt de nouveaux rapports d'une couleur à une autre et de cet ensemble à celui qui l'organise. Plus que jamais, chez cet homme qui ne veut rien perdre, faire une toile c'est aussi améliorer la suivante. Roberto est un jeune peintre qui sait déjà beaucoup. Telle est la difficulté à surmonter lorsque l'on ne fait pas de concessions au déjà vu, au déjà su.

Paris, Mai 1984 THIERRY CHABANNE Prof. D' Histoire de l'Art ÉCOLE NATIONAL SUPÉRIEUR DES ARTS DÉCORATIVE PARIS

Assez déroutante l' oeuvre de cet artiste qui, pour tout curriculum vitae, se borne à nous donner ses "nom; Tagliazucchi; prénom: Roberto; profession: sculpteur; études: beaux-arts; né ... toujours vivant" (sic), alors que, toujours bien vivant, en effet, il peint autant qu'il sculpte et dessine autant qu'il peint car, bien que né à Carrare, le haut lieu des carrières de marbre blanc où depuis la plus haute Antiquité viennent s'"approvisionner" bâtisseurs et sculpteurs, Tagliazucchi, attiré par le dessin et la peinture dès l' enfance, ne s'est curieusement intéressé à la sculpture qu'il y a une toute petite dizaine d'années... Une oeuvre déroutante assurément car, si sa peinture comme sa sculpture sont totalement abstraites, elles n'ont en revanche aucune parenté entre elles, pas davantage que le dessin on ne peut plus figuratif et d'une facture très classique. Trois artistes donc, bien différents l'un de l'autre en un seul, et trois bons et beaux artistes dont on ne sait trop lequel préférer, Le sculpteur d'abord, dont l' oeuvre encore toute jeunette pourrait bien sûr rappeler certains de ses grands aînés tels un Brancusi ou un Gilioli, mais au diable cette manie de toujours vouloir confronter une oeuvre d'aujourd'hui avec celles du passé! La sculpture de Tagliazucchi, à quelques rares réserves près, taillée dans la masse des marbres de Carrare, vierge de toute impureté, lisse, translucide, lumineuse, aux angles arrondis, tendre et douce, sensuelle après un long, patient et subtil ponçage, suggère dans son extrême dépouillement bien plus qu'elle n'impose et, s'il n'avait donné pour titre à deux de ses oeuvres Jeu d'enfants et Danseuse, nous n'aurions rien vu d'autre dans la première qu'un haut portique ouvrant sur l'infini et dans la seconde une sorte de totem hiératique... Une exception, son Christ en croix, un bronze-maquette de 1986 pour une nouvelle église de la région parisienne, émouvant, sublime, admirable dans la simplicité, la nudité des lignes. Enfin du grand art sacré moderne qui, souhaitons-le, trouvera sa juste place à"Notre-Dame de l'Arche d'Alliance" de la Z.A.C. d'Aleray ! La place manque, hélas, pour parler comme elle le mériterait de sa peinture couleur de fresques; couleur de vitrail à l'heure où décline le jour, ou couleur de campagne aux verts acides, aux jaunes brûlés par le soleil, aux rouges triomphants ; peinture du geste, peinture mystique proche de son Christ d'Aleray..."Vous êtes croyant ?" "Oui, je crois profondément ". "Aucune parenté entre elles", la sculpture et la peinture de Tagliazucchi ? Car, au-delà de la construction, la forme et la force d'expression, il y a chez ce catholique fervent une présence spirituelle qui confère à l'ensemble de son oeuvre une unité que, de prime abord, nous n'aurions jamais soupçonnée.

Pierre BRISSET - Critique d'Art "L'OEIL" 1988